Edizione 2016

Il Premio Lucio Mastronardi Città di Vigevano viene assegnato ogni anno all’autore di un libro di narrativa selezionato da una giuria tecnica composta da Ermanno Paccagnini (presidente), Laura Lepri, Luigi Mascheroni, Paolo Perazzolo. La giuria tecnica sceglie tre finalisti e il vincitore è designato da una giuria popolare composta da 30 studenti delle scuole medie superiori di Vigevano, 30 lettori indicati dalle biblioteche del Sistema bibliotecario lomellino e dalle librerie cittadine, 10 lettori indicati dall’Università del tempo libero e per la terza età.

 

EDIZIONE 2016

MOTIVAZIONI

Simona VinciLa prima verità - Einaudi

Simona Vinci è un'autrice che si apprezza particolarmente perché nel tempo ha dimostrato di scrivere solo per necessità, vale a dire quando aveva in mano un tema forte, profondo, o una storia che premeva per essere raccontata. Con personaggi che desideravano essere messi al mondo su  una pagina fortemente marcata dalla sua scrittura. E' accaduto fin dal 1997 con il romanzo “Dei bambini non si sa niente” che fu accolto con molto calore da pubblico e critica.

Ora, a distanza di quasi vent'anni, dopo aver scritto altri ottimi libri senza l'affanno di essere in libreria, torna con quello che si può ritenere il suo lavoro più maturo: “La prima verità”. Ancora una volta il tema è importante – si parla di follia, di reclusione, di dissenso politico, di uomini e donne che sanno là dove un intero paese, una nazione, nasconde a sé e al mondo l'atroce verità dell'isolamento e molte voci fuori dal coro, siano esse quelle dei pazzi o quelle degli oppositori. Siamo in Grecia, nel 1922. Una data che risuona anche nelle vicende politiche dell'Italia che sta diventando fascista. In un gioco di specchi con i grandi accadimenti della Storia e quelli apparentemente più anonimi del disagio psichico, Simona Vinci domina eccellentemente la sua materia con una scrittura che riga per riga scarta dall'ovvio, dal prevedibile, dalla facile presa. Una scrittura incisiva e materica, messa a disposizione dei suoi personaggi, dei loro segreti, e di giornate vissute come fantasmi che, tuttavia, hanno la forza di tornare da quel tempo lontano, a inquietare le nostre coscienze.

Lo scorso settembre, i lettori del Premio Campiello hanno riconosciuto la bravura di questa scrittrice di razza.

Questa sera, in diretta, una giuria popolare che siede qui, nelle prime file del teatro, deciderà a chi, tra questi tre finalisti, andrà il premio Città di Vigevano. La giuria popolare è composta da 70 lettori così ripartiti: 30 studenti delle scuole superiori di Vigevano e Mortara; 30 lettori individuati dalla Biblioteca di Vigevano e dal Sistema Bibliotecario, e 10 lettori indicati dall’Università del tempo libero e per la terza età. A tutti voi, buon lavoro.

Prima di conoscere meglio i tre scrittori finalisti e poi, più tardi, scoprire chi si è aggiudicato quest’anno il Premio città di Vigevano, ascoltiamo adesso alcune pagine dei loro romanzi. E per farlo ci affidiamo al talento di Martina De Santis, una delle più interessanti giovani attrici del teatro e del cinema italiano.

 

Maurizio Maggiani, Il romanzo della nazione - Feltrinelli

Quel grande affabulatore che è Maurizio Maggiani si era messo in testa di scrivere "il romanzo della nazione", ovvero di raccontare la nazione che l'Italia avrebbe potuto essere, ma non è stata. A complicare l'ambizioso progetto, interviene la morte del padre: di colui che avrebbe dovuto essere il testimone fondamentale.

Così Il romanzo della nazione assume dapprima la forma di un commovente ricordo del padre (e insieme della madre), di una commossa elegia famigliare. Qui leggiamo pagine intense, struggenti, consegnate al lettore all'interno di quel flusso narrativo che è tipico dello scrittore.

Chi fu il padre di Maggiani? Un uomo unico e al tempo stesso simile a molti altri della sua generazione. Quella che prima sposò l'illusione fascista; che poi capì e diede vita alla Resistenza; che formò una famiglia, mentre tentava di formare uno Stato, una comunità; che infine dovette constatare il fallimento dell'utopia di una vita, mentre la vecchiaia presentava il suo conto.

Ad un certo punto il ritratto intimo del padre lascia il posto a due racconti paralleli, due idee di romanzo che - confessa lo scrittore - erano state tralasciate. Di queste, il più bello è quello che rievoca la costruzione dell'Arsenale militare nel Golfo di La Spezia. Fu Cavour, nell'Ottocento, a immaginare questo maestoso cantiere, al quale affluirono menti e braccia da tutto il Paese. E se l'obiettivo materiale era la costruzione della Dandolo, la più grande nave da guerra dell'epoca, la realtà fu che quell'esperienza rappresentò le prove generali della nuova Nazione. In questo convergere di uomini con abilità differenti, tutti protesi verso la medesima meta, fra fine Ottocento e inizio Novecento, vide gli albori la nazione: quella che avrebbe potuto essere, ma non fu.

Perché non fu? Come già ha spiegato nel suo testo precedente, Un'invettiva, il lavoro dei padri non fu portato a compimento dai figli, che dispersero l'eredità dei padri.

Il romanzo della nazione mette in mostra la doppia vocazione di Maggiani: l'essere un affascinante affabulatore e la dimensione civile della sua opera. La passione civile dello scrittore è sempre stata inestricabilmente connessa a una inesauribile vis narrativa. Raccontare, per lui, significa dare voce alla gente comune, agli eroi invisibili e ordinari che sono, ancora oggi, il cuore palpitante di quella nazione incompiuta che è l'Italia.

 

Andrea Tarabbia, Il giardino delle mosche - Ponte delle Grazie

Racconto di una vita reale solo in parte romanzata, e romanzo che ri-narra una vicenda vera basata su documenti ufficiali, “Il giardino delle mosche” di Andrea Tarabbia è la ricostruzione, che ha l’esattezza di una meticolosa biografia, del fallimento di un essere umano – fallimento come padre di famiglia, come marito, come maschio, come cittadino - travolto dalla propria storia personale e dalla Storia del proprio Paese. L’autore – che con questo libro, e il suo precedente, Il demone a Beslan, paga il proprio debito con la letteratura russa di cui è studioso e profondo conoscitore – dà voce, trasfigurandolo narrativamente, a uno degli uomini che hanno incarnato il Male nel Novecento: Andrej Čikatilo, uno dei più feroci serial killer della storia, soprannominato il “Mostro di Rostov”, il quale nell’ultimo decennio di vita dell’Unione sovietica, tra il 1978 e il 1990, uccise, mutilò e in alcuni casi cannibalizzò, oltre cinquanta persone: donne, bambini e adolescenti di entrambi i sessi.

La storia di Čikatilo – uomo apparentemente normale che rivela, a se stesso e a noi, la parte più irrazionale, buia e selvaggia dell’essere umano – porta il lettore a domandarsi cosa sia l’orrore, quali radici abbia, e fino a dove può spingersi. E se per provare a rispondere basterebbe una buona inchiesta giornalistica, il libro di Tarabbia invece – che non è l’ennesimo titolo di “non fiction novel” tanto di moda, ma un vero romanzo, potente e originalissimo - fa molto di più. Prova a rispondere all’interrogativo, squisitamente letterario, “Come si può narrare l’orrore?”. Come si può narrare l’orrore di uomo che ha violentato il senso della parola amore, incapace di provare pentimento e pietà? Come si può narrare l’orrore di un Paese che ha massacrato l’idea di “socialismo” e che ha barattato il naturale desiderio di comunità con lo spietato esercizio del potere?

Le domande che pone l’autore ronzano in maniera inquietante, capitolo dopo capitolo, dentro “Il giardino delle mosche”. E per il lettore sono impossibili da scacciare.